«Totò per un attore napoletano? In pratica come il Papa per un prete». Non ha dubbi Antonio Grosso attore, drammaturgo e regista campano che al Principe della Risata ha dedicato uno spettacolo intrigante, dal titolo Il piccolo principe, in arte… Totò. A questo testo originale, il Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale affida l’inaugurazione – giovedì 11 novembre alle ore 21 (in scena fino a domenica 21 novembre) – della XIII stagione del Teatro Brancati, palcoscenico da sempre dedicato alla tradizione, alla memoria e alle commedie brillanti. La piéce, ideata e scritta dall’attore campano – già noto al pubblico del Brancati per i suoi spettacoli di successo Minchia signor tenente e Venerdì 17 ovvero due preti di troppo – narra le vicende della vita giovanile di uno dei più grandi maestri dell’arte scenica internazionale: Antonio De Curtis, in arte, appunto, Totò.
In scena insieme con Antonello Pascale, Antonio Grosso dà vita a tutte le vicende e vicissitudini che l’attore partenopeo ha vissuto e dovuto affrontare prima di arrivare al grande successo ed essere riconosciuto a livello nazionale come il vero e proprio “Principe” della Risata.
«Quella di Totò – racconta Grosso – è una sorta di favola. Una di quelle che potrei raccontare a mia figlia. E invece fu tutto vero: c’era questo bambino e giovane povero che conquistò il mondo con la sua arte». E per raccontarne le prime mosse nella vita e nel mondo della recitazione, Antonio Grosso ha chiesto suggerimento anche alla famiglia del Principe. «Ho avuto la fortuna e l’onore di poter contare su Elena De Curtis, nipote di Totò e sono felice di avere la benedizione della famiglia», aggiunge.
E così, a partire da un testo scritto durante il lockdown, Antonio Grosso ha ideato uno spettacolo originale sulla vita giovanile di Totò prima che diventasse l’attore italiano più famoso nel mondo.
«Durante la mise en espace – conclude Grosso – io sono il giovane Totò mentre Antonello interpreta i vari personaggi che incontra sul suo cammino, dagli amici, i parenti, il popolo che anima le strade del famoso quartiere de la Sanità dove lui
stesso è cresciuto, gli amori e le delusioni, gli artisti che ha conosciuto, gli impresari teatrali ed i commilitoni con cui è partito soldato per servire la patria. La pièce, con vari inserti musicali e canzoni popolari del tempo, nonché una canzone originale scritta da me e Antonello, diventa quindi una sorta di omaggio e dimostra che dietro una delle più grandi Maschere del Cinema moderno si nascondeva un animo sensibile che con tenacia, talento, passione ed umiltà è diventato un’icona della comicità archetipa, riconosciuta dai più grandi maestri del novecento italiano»